LA TRASFIGURAZIONE CONTROTEMPO

di Marco Amore

La selezione di opere presenti in mostra abbraccia due momenti della produzione

pittorica di Jacopo Dimastrogiovanni, artista ascrivibile al solco del ritorno al figurativo, con

un’attenzione particolare alla tradizione ritrattistica rinascimentale e barocca. In primo

luogo “Humanitas”, dove protagonista è il volto colto nell’attimo della trasfigurazione

interiore: la raffigurazione si deforma, distorce, sfibra, sulla scorta di un impulso

emotivo violento, incontrovertibile.

La trama materica della pelle, enfatizzata dall’applicazione di sottili strati di carta,

proietta all’esterno l’interiorità del ritratto – vi leggiamo inquietudine, ansia,

turbamento; a volte, un’imperscrutabilità dal sapore antico, o perfino una scintilla di

follia.

Immortalato in uno stato di vulnerabilità, il soggetto si lascia riconoscere, stabilendo

un rapporto visivo con l’osservatore che spinge quest’ultimo a discernere nel quadro

un’elaborazione delle proprie inquietudini: il classico meccanismo della proiezione

junghiana, sotteso a un processo di conoscenza tra l’Io e l’Ombra. Il che risulta ancora

più interessante in un momento storico dove è l’introiezione a tenere in scacco il mondo

occidentale: pensiamo al bombardamento pubblicitario che contraddistingue la civiltà

del libero consumo, il cui registro espressivo è entrato a pieno diritto nel linguaggio

dell’arte contemporanea.

Nel caso di Dimastrogiovanni, l’individuo non è contaminato da nient’altro che non

sia il proprio vissuto personale, rielaborato interiormente sotto forma di ferite emotive

che riaffiorano sulla superficie del volto. Una scelta che non tiene volutamente conto

del ruolo dell’interazione mediata, stentando a riconoscerne la centralità e rimandando

invece alla metafora lacaniana dello stadio dello specchio.

Lo specchio interiore, indispensabile a una visione di sé unitaria e definita, diventa però

specchio deformante, archetipo della metamorfosi, con la non trascurabile differenza

che qui non è il marchio del capriccio a disumanizzare le rappresentazioni, quanto uno

spettro di emozioni più vasto, concepito sulla base di processi conoscitivi complessi e

non di un impulso momentaneo.

Un altro elemento imprescindibile è il senso di sacralità trasmesso dalle immagini, non

a caso ho parlato di trasfigurazione dei volti: un termine soppesato con cura, che

rimanda a un episodio dei Vangeli in cui Cristo svela ai discepoli la propria natura

trascendentale, così come le opere rivelano la propria umanità nell’istante in cui

l’osservatore si abbandona alla contemplazione del dipinto; sacralità che si manifesta

in modo evidente in lavori come Sacrificium – Polittico di Marsia, dove la figura del

sileno, intrappolata nel formato tipico delle pale d’altare, richiama alla mente la

crocifissione di Gesù, gettando un ponte ideale tra il politeismo di epoca antica e il

cattolicesimo in età moderna. 

Si delinea quindi un percorso fondato sulla dimensione corporea dell’esperienza

spirituale e la denuncia di quel bisogno tutto umano di attribuire un significato al dolore

della perdita; percorso che tradisce ulteriormente il proprio carattere sacrale prendendo

le mosse da due personaggi biblici, Adamo ed Eva, progenitori dell’umanità, peraltro

in un momento storico in cui la desacralizzazione della dimensione quotidiana, dettata

dal materialismo scientista e anti-dialogico, guarda all’evidenza empirica e al

deterministicamente verificabile. In questo contesto, Dimastrogiovanni torna ad

affrontare argomenti considerati superflui, sapendo che non sono stati risolti, bensì solo

accantonati, messi da parte, come un enigma di cui non ci è dato sapere la risposta, e

che l’uomo contemporaneo, prodigo di domande, ha scientemente e deliberatamente

ignorato, forse con l’intenzione di lasciare questo rompicapo per i posteri.

Qualcosa di completamente diverso si nasconde dietro “Iniuria & Furor”,

contraddistinto dal richiamo diretto, attraverso l’espediente dell’omaggio, ad alcuni dei

maggiori artisti del rinascimento italiano – Raffaello, Tintoretto, Rubens, Guercino,

Mantegna e Caroto – nonché da una riflessione sulla pratica del collezionismo di

curiosità (wunderkammer) risalente al Medioevo, in cui è possibile leggere, in filigrana,

una critica non troppo velata al sistema dell’arte contemporanea e al culto imperante

dell’oggetto-feticcio. Di conseguenza, sono due gli elementi attorno a cui si sviluppa

il nucleo del discorso pittorico: uno è il polittico “Iniuria”, realizzato come intima

reazione al clamoroso furto di 17 dipinti antichi dalle collezioni del Museo di

Castelvecchio a Verona la sera del 19 novembre 2015; il secondo è “Furor”, opera in

continuo divenire costruita sul fenomeno della cosiddetta camera delle meraviglie.

Qui, come asserito dallo stesso autore, gli elementi stilistici già presenti in “Humanitas”

assolvono a una duplice funzione simbolica: «attraverso la feroce deformazione

dell’iconografia dei capolavori rubati, i lavori provano a farsi testimonianza dello

sfregio patito, da intendersi sia come danno all’oggetto in sé, sia – e ancor più – come

oltraggio all’aura iconica e al valore di testimonianza culturale che quelle opere

indiscutibilmente posseggono.»

È curioso sentir parlare di «aura iconica» in un contesto dove da decenni si lamenta il

declino di quella stessa aura, il suo essersi smarrita nella profusione di immagini

tecnicamente riprodotte dalla nuova iconoclastia moderna che, come direbbe

Baudrillard, «non consiste più nel distruggere le immagini, ma nel fabbricarne una

profusione in cui non c’è niente da vedere1».

Forse è proprio questa consapevolezza ciò che spinge Dimastrogiovanni a ferire i suoi

soggetti a colpi di spatola e pennello, e poi a ripristinarne il valore semantico ricorrendo

all’applicazione di strati sottili di carta: le opere sono riproduzioni degli originali, alter

ego che entrano volutamente in contatto con la loro controparte storica, permeandosi

di contenuti inediti e aprendo un dialogo filosofico sulla funzione eternatrice dell’arte,

il suo andare al di là dello spazio e del tempo, rimanendo intatta nonostante i secoli e

le restaurazioni che ne ripristineranno la fruibilità, trasfigurando tuttavia l’essenza

dell’oggetto artistico.

ecce omnes di Jacopo Dimastrogiovanni presso la galleria d'arte contemporanea mondoromulo